08 gennaio, 2010

Sempre dalla parte dell’uovo

4 comments


Uno scrittore speciale per me. Il suo discorso tenuto a Gerusalemme in occasione della consegna del premio letterario .

Di Haruki Murakami
Oggi sono venuto a Gerusalemme come scrittore, cioè come un professionista della bugia. Certamente gli scrittori non sono gli unici a mentire. Come tutti sappiamo anche i politici lo fanno. Talvolta anche i diplomatici e i militari dicono le loro bugie, così come i venditori di macchine usate, i macellai e i costruttori. Le bugie degli scrittori però sono diverse da quelle degli altri, tanto che nessuno oserebbe mai accusarli d’essere degli immorali. Certo, quanto più grandi, ingegnose e ben pensate uno scrittore crea le sue bugie, tanto più è probabile che venga elogiato dal pubblico e dalla critica. Ma perché?

La mia risposta è questa: dicendo bugie efficienti – ossia, quando si creano delle finzioni che sembrano essere reali – lo scrittore può far emergere una verità in un nuovo contesto e farla brillare con una nuova luce. Nella maggior parte dei casi è virtualmente impossibile capire una verità nella sua forma originale e rappresentarla accuratamente. Questa è la ragione per cui quando ‘seduciamo’ la verità per farla venire fuori da dove si nasconde, cerchiamo di afferrarne la coda, la trapiantiamo in un luogo fittizio e la sostituiamo con una forma altrettanto irreale. Per ottenere tutto questo, però, dobbiamo innanzi tutto chiarire dove, tra di noi, si trova la verità. Questa è un importante requisito per inventare delle buone bugie.

Oggi però non ho nessuna intenzione di mentire. Cercherò di essere quanto più onesto possibile. Ci sono pochi giorni all’anno in cui mi dedico a non dire bugie e, a quanto pare, oggi è uno di questi giorni. Lasciatemi quindi dire la verità. In Giappone molta gente mi ha consigliato di non venire qui in Israele e di non accettare il Jerusalem Prize. Alcuni mi hanno persino minacciato che se fossi venuto avrebbero istigato il boicottaggio dei miei libri. La ragione di questo atteggiamento è stata, senza dubbio, la feroce battaglia in corso a Gaza. Le Nazioni Unite parlano di più di un migliaio di persone che hanno perso la vita nella città bloccata di Gaza City, e molte di queste persone sono cittadini disarmati, bambini e anziani. Dopo aver ricevuto l’invito per il premio, mi sono spesso domandato se viaggiare in Israele in un periodo come questo e accettare un premio letterario fosse la cosa giusta da fare, se questa scelta avrebbe potuto dare l’impressione che appoggiavo una parte del conflitto, che abbracciavo la politica di un paese che aveva scelto di scatenare il suo schiacciante potere militare su un altro Paese. Si trattava di un’impressione che certamente non volevo dare. Non approvo nessun tipo di guerra e non sostengo nessun Paese. Ed è chiaro che non mi auguro di vedere i miei libri boicottati.


Alla fine però, dopo un’attenta considerazione, ho deciso di venire. Una delle ragioni che mi ha portato a questa scelta è stata che troppa gente mi aveva consigliato di non farlo. Forse, come molti altri scrittori, tendo a fare esattamente l’opposto di quanto mi dicono. Se la gente mi dice – e specialmente quando mi minacciano – “non andare lì”, “non fare quello”, io tendo a volerci andare e a farlo. Si potrebbe pensare che, come scrittore, è nella mia natura. In effetti gli scrittori sono una razza speciale. Non possono genuinamente credere in qualcosa che non hanno visto con i propri occhi o toccato con le proprie mani. Questa è la ragione del perché sono qui. Ho scelto di venire invece di starmene lontano. Ho scelto di vedere con i miei propri occhi invece di non vedere affatto. Ho scelto di parlarvi invece di non dire niente.

Per favore, permettetemi di trasmettere un messaggio molto personale. Si tratta di qualcosa che tengo sempre in mente quando scrivo fiction. Non sono mai arrivato così lontano da scriverlo su un pezzo di carta e attaccarlo ai muri: al contrario, è scavato nelle pareti della mia mente, e dice qualcosa del genere:

‘Tra un alto e solido muro e un uovo che vi si spacca contro, starò sempre dalla parte dell’uovo.’

Sì, perché non importa quanta ragione possa avere il muro o quanto possa essere in torto l’uovo, starò sempre dalla parte di quest’ultimo. Spetterà a qualcun’altro decidere che cos’è giusto e che cos’è sbagliato; forse a decidere sarà il tempo o la Storia. Se ci fosse uno scrittore che, per qualsiasi ragione, scrivesse stando dalla parte del muro, che valore avrebbe avuto il suo lavoro?

Che significa questa metafora? In certi casi, tutto è troppo semplice e chiaro. Cacciabombardieri, carri armati, razzi e granate di fosforo bianco rappresentano quell’alta e solida parete. Le uova sono i civili disarmati che vengono colpiti, bruciati e presi di mira. Non è tutto, però. La metafora porta con sé un significato più profondo. Provate a interpretarla in questo modo. Ognuno di noi è, più o meno, un uovo. Ognuno di noi è un’unica, insostituibile anima rinchiusa in una fragile conchiglia. Questo è vero per me ed è vero anche per voi. E ognuno di noi, chi più chi meno, si trova ad avere a che fare con un alto e solido muro. Questa parete ha un nome: 'il Sistema'. In teoria il Sistema ci dovrebbe proteggere, ma talvolta se la prende con una vita, inizia ad ucciderci e fa in modo di farci uccidere altre persone, freddamente, efficacemente e sistematicamente.

Ho solo una ragione per scrivere i miei romanzi ed è perché voglio riportare in superficie la dignità di una singola anima e far brillare una luce su di lei. Lo scopo di una storia è quella di far suonare un allarme, di mantenere una luce attenta sul Sistema per impedirgli di aggrovigliare le nostre anime alla sua rete e farle degradare. Credo sinceramente che il lavoro dello scrittore che scrive storie – storie di vita e di morte, storie d’amore, storie che facciano piangere la gente e tremare di paura e schiattare dalle risate – sia quello di continuare a cercare di far chiarezza sull’unicità di ogni singola anima. Questa è la ragione del perché continuiamo, giorno dopo giorno, a confezionare finzioni in tutta serietà.

Mio padre è morto lo scorso anno all’età di 90 anni. Era un professore in pensione e un monaco buddista a tempo perso. Quando andava all’università è stato arruolato nell’esercito e mandato a lottare in Cina. Come ogni bambino nato dopo la guerra, lo vedevo ogni mattina prima della colazione offrire lunghe e profondamente sentite preghiere di fronte all’altare buddista di casa nostra. Una volta gli chiesi perché lo faceva e mi rispose che stava pregando per la gente che era morta nel campo di battaglia. Pregava per tutta la gente che era morta, mi disse, sia gli alleati che i nemici. Fissando la sua schiena che si inginocchiava di fronte all’altare, mi era sembrato sentire l’ombra della morte che rimaneva sospesa nell’aria tutto intorno a lui.

Mio padre morì e si portò via i suoi ricordi, ricordi che non potrò mai venire a sapere. Ma la presenza della morte che si appostava attorno a lui rimane nella mia propria memoria. E’ una delle poche cose che continuo a portarmi di lui, ed è una delle più importanti.

Oggi spero di trasmettervi solo un concetto. Siamo tutti umani, individui che trascendono dalla nazionalità, dalla razza e dalla religione, fragili uova che devono affrontare una solida parete chiamata il Sistema. A quanto pare, non abbiamo nessuna speranza di vincere. Il muro è troppo alto, troppo forte e troppo freddo. Se abbiamo anche solo una speranza di vittoria, deve venire per forza dal fatto di credere nella completa unicità e insostituibilità della nostra stessa anima e di quella degli altri, così come è necessario che la speranza debba venire dal calore che otteniamo dall’unione delle nostre anime messe insieme.

Prendetevi un attimo per pensarci. Ognuno di noi possiede un’anima tangibile e viva. Il Sistema invece non ce l’ha. Non possiamo permettere al Sistema di sfruttarci. Non possiamo permettere al Sistema di prendersela con una vita. Il Sistema non ci ha creato: siamo stati noi a crearlo. Questo è tutto quello che devo dirvi.
(Tratto da http://www.noaweb.it/index.php/2009/03/09/xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx-8/)
(Le foto sono trovati sul internet)

Info sul Haruki Murakami

http://www.harukimurakami.it/

06 gennaio, 2010

Shibuya a Parma 。I fuochi dell’ultimo dell’anno

1 comments

Tra tutti i piatti, il sushi è sempre stato speciale per me. Quando ero a Hong Kong, andavo a mangiare sushi diverse volte a settimana. Ma in Italia, è davvero difficile trovarne di buono.

Milano, Firenze e Torino. In queste 3 grandi città turistiche e commerciali, ci sono tanti ristoranti Giapponesi, perciò è relativamente facile trovarne uno abbastanza buono. Specialmente a Milano, dove c’è il mercato ittico più importante d’Italia e dove si può quindi trovare una buona varietà di pese fresco. Purtroppo, io e Milano siamo distanti 160 km.

Un anno fa, per puro caso, abbiamo scoperto questo ristorante Giapponese. Ci siamo fermati per un rifornimento al distributore di metano di parma aperto 24 h; il ristorante è proprio davanti al distributore. Grazie alla nostra passione gastronomica e alla voglia di sperimentare sempre cose nuove, siamo entrati senza pensarci. È così che ha avuto inizio una relazione che mi ha portato ad essere una cliente fissa dello Shibuya.


Francamente, i piatti allo Shibuya non sono eccellenti. Ma il sushi fatto dallo chef è buono o almeno lo trovo più buono dai tanti altri ristoranti Giapponesi in Italia. Il pesce crudo è fresco e a prezzi accettabili. Ho chiesto al gestore e ho saputo che il sushi chef è di Singapore, dove ha maturato diversi anni di esperienza nella lavorazione del sushi. Lo chef sembra essere seriamente sensibile sulla qualità del pesce e pertanto la freschezza sembra garantita.

Le consegne di pesce avvengono Martedì e Venerdì, quindi se volete un sushi di ventresca di tonno (toro), dovreste andare allo Shibuya in quei giorni. I sushi di gamberi crudi, capesante, anguilla grigliata e tempura di gamberi sono buoni. Inoltre, la carta di sake non è male.

Gli altri piatti presenti in menù, oltre al sushi, non sono male ma io vi consiglio di concentravi sul sushi.


Dopo cena, siamo andanti a casa di un amico di Corrado. E’l’ultimo dell’anno e una ventina di giovani lo trascorrono insieme, ovviamente spunta qualcosa di stupido ma divertente: i fuochi! Ognuno ne ha portato una piccola scorta. Questa sera, il fuoco da 8 euro di Dario ha vinto il primo premio, sembrava un fuoco d’artificio professionale.

Poi, abbiamo giocato a Tombola e a Poker fino alle 5 del mattino. E così è arrivato il 2010. Ora non vedo l’ora di partire per Hong Kong, casa mia, dove trascorrerò la mia prossima vacanza.







Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...